Cronaca

Caso Tiziana Cantone, disposta l’autopsia: presto la verità sulle cause della morte

È stato conferito questa mattina dalla Procura di Napoli Nord l’incarico di procedere all’accertamento autoptico sulla salma di Tiziana Cantone, la 31enne trovata morta il 13 settembre 2016 a Mugnano dopo la diffusione online di alcuni suoi video e foto hard.

La Procura di Napoli Nord ne aveva in precedenza ordinato la riesumazione. Ai consulenti è stato chiesto di accertare le cause del decesso e di effettuare esami tossicologici e genetici. I consulenti si sono riservati di rispondere ai quesiti formulati con relazione scritta che depositeranno entro 90 giorni.

La storia

Tiziana Cantone nacque a Casalnuovo di Napoli il 15 luglio 1983, figlia di Maria Teresa Giglio, impiegata comunale, e di un padre che la abbandonò poco dopo la nascita. Crebbe con la madre e la nonna si diplomò al liceo classico e iniziò studi universitari di giurisprudenza, che non portò a termine per dedicarsi all’attività di famiglia.

Intraprese una relazione con Sergio Di Palo, più grande di lei di una decina d’anni, con il quale convisse brevemente nel 2015. A partire dal novembre del 2014 Cantone ebbe rapporti sessuali consensuali con altri uomini, che vennero filmati in sei occasioni e diffusi dalla Cantone stessa via WhatsApp. In particolare un video caricato il 25 aprile 2015 su un portale di contenuti pornografici, nei mesi seguenti divenne virale, con una battuta della donna successivamente trasformata in un meme su internet e poi apparsa su magliette, gadget di vario genere e citata persino nella canzone Fuori c’è il sole di Lorenzo Fragola.

L’eco mediatica ricevuta suo malgrado spinse Cantone ad isolarsi e rinunciare al proprio impiego, rivolgendosi al contempo, il 13 luglio 2015, al tribunale di Aversa per chiedere la rimozione dei video da siti e motori di ricerca. Nel novembre del 2015 Cantone chiese di cambiare il proprio cognome in Tiziana Giglio (adottando quindi il cognome della madre), la richiesta fu valutata positivamente nel gennaio del 2016 dal comando dei Carabinieri di Castello di Cisterna e accolta dal prefetto di Napoli nel luglio dello stesso anno.

Nonostante la modifica del nome e vari trasferimenti in diversi comuni d’Italia, la ricerca dell’anonimato della donna incontrò enormi difficoltà: la causa legale intentata per ottenere il diritto all’oblio portò alla parziale rimozione dei video da numerosi siti web, ma, per errori procedurali del proprio legale, Cantone fu condannata a pagare più di 20.000 euro di spese legali. Cantone, ormai in stato di depressione, tentò più volte il suicidio, riuscendo nel drammatico intento il 13 settembre 2016 impiccandosi nello scantinato della casa di una zia a Mugnano di Napoli, da cui si era rifugiata.

La denuncia di Tiziana Cantone
Nel maggio del 2015 Tiziana Cantone denunciò quattro uomini alla procura di Napoli Nord. Raccontò al magistrato di aver girato sei video a sfondo sessuale e di averli poi inviati in modo confidenziale tramite i social network e WhatsApp a persone con le quali aveva delle relazioni virtuali durante un periodo che lei stessa definiva di fragilità emotiva e depressione psicologica. I due fratelli emiliani Antonio ed Enrico Iacuzio, e Antonio Villano, di cui venne indicato anche il nickname che usava su Facebook: Luca Luke; tutti accusati dalla donna di aver divulgato i sei video a sfondo sessuale su internet in diversi siti porno. Nella denuncia non si faceva alcun riferimento a Sergio Di Palo, che era il fidanzato di Cantone all’epoca dei fatti.

La questura iniziò l’indagine con l’arresto cautelativo dei cinque accusati di diffamazione e di violazione della privacy, sequestrando diversi smartphone e personal computer degli indagati. Le indagini evidenziarono molte incongruenze sulla testimonianza della donna, gli uomini dichiararono di essere del tutto estranei ai fatti relativamente alla divulgazione dei video sul web.

Nonostante Cantone inizialmente li indicò come responsabili della diffusione dei video incriminati, gli inquirenti confermarono che i video erano stati ricevuti dai cinque uomini tramite WhatsApp, ma non fu trovata nessuna prova della diffusione su internet da parte loro. Sulla base di quanto dichiarato successivamente dalla stessa Cantone che, in un secondo momento, modificò le dichiarazioni scagionando i cinque uomini dei suoi video, il pubblico ministero chiese l’archiviazione del caso per ipotesi di reato di diffamazione e aprì una nuova inchiesta per il reato di calunnia.